L’incaglio del transatlantico inglese Oroya davanti al Forte di Vigliena nel 1895. Le operazioni di soccorso e il coraggio mostrato dai marinai italiani e dai pescatori che con le loro «barche indigene galleggiavano come giocattoli in cima alle onde» mentre il Vesuvio «eruttava fuoco ogni tanto».
Tra i pescatori locali si distinsero Nicola Fragliasso detto O’ Barone e Michele Mazzarella. Non mancarono nelle versioni dei naufraghi accenti contradditori sulla condotta dei residenti confutati dall’evidenza dei riconoscimenti ottenuti.
Il transatlantico Oroya in viaggio verso l’Australia si arenò difronte al Forte di Vigliena la mattina del 4 marzo 1895. I lavori per disincagliarlo durarono circa due mesi. La nave a vapore era lunga 140 metri con una stazza di 6266 tonnellate e una potenza di 7000 H.P.
La Foto di eccellente qualità, di autore sconosciuto, è stata pubblicata nel 2014 dalla «Promoter Digital Gallery» e reca una dicitura piuttosto generica se non fuorviante: «Nave attraccata su una spiaggia di Napoli … con persone che osservano e bambini che giocano».
la Foto presentata con ogni probabilità è l’unica che documenta con efficacia lo stato del litorale poco prima dello sconvolgimento del luogo iniziato a partire dai primi decenni del Novecento. Nel 1899 lo stesso luogo fu raffigurato in modo pregevole, con uno schizzo, dall’ing. Giuseppe Abatino. Il disegno in questo caso fornisce un quadro più ampio del cotesto del Forte e tuttavia la Foto suscita un certo interesse. Ho ritrovato poi altre due foto del naufragio ma non sono altrettanto efficaci come quella mostrata.
Nella Foto, sull’arenile a destra, si nota la estremità del Forte posato a pochi metri dal mare. Lo sfondo richiama verosimilmente lo stesso scenario visibile nel 1703 epoca nella quale furono avviati i lavori per la costruzione del Forte. Presumibilmente analogo scenario fu quello visibile il 13 giugno 1799 a seguito degli eventi della Repubblica Napolitana. Nel Forte si rifugiarono i repubblicani che opposero una forte resistenza all’esercito Sanfedista guidato dal Cardinale Fabrizio Ruffo che si dirigeva con la sua armata verso la città di Napoli. Il Forte fu bombardato, sia dal mare che da terra, dai Sanfedisti giunti sul posto insieme a truppe turche e russe, nonché dalla flotta inglese con lo scopo di abbatterne le mura. I resistenti, prevalentemente giovani calabresi, barricatisi nel Forte decisero di non arrendersi e poco prima che fosse espugnato diedero fuoco alla polveriera che provocò l’esplosione del Forte e il ferimento e la morte dei vinti e dei vincitori presenti. Gli avvenimenti sono stati riferiti da innumerevoli scrittori non solo italiani.
La comparazione sullo stato dei luoghi, cioè tra quello mostrato nella Foto e quello odierno, genera sconforto. Il Forte attualmente è distante dal mare a circa duecento metri sul versante destro e a circa cinquecento da quello di sinistra. Sono stati milioni i metri cubi di detriti di tutti i tipi, compresi quelli inquinati frammisti a cemento, riversati in mare e sull’arenile per realizzare le colmate che hanno deturpato irrimediabilmente il litorale.
L’area è tuttora interessata da programmi e progetti di ristrutturazione industriale estremamente invasivi.
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L’incagliamento del transatlantico Oroya della Orient Company’s nel 1895 a Vigliena
La storia dell’insabbiamento del Transatlantico inglese Oroya è alquanto documentata. L’incidente secondo le fonti inglesi causò la morte di quattro marinai dell’Oroya. Secondo le autorità italiane il naufragio procurò tre vittime.
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In una relazione della Marina Mercantile del 1895 si legge che:
«La mattina del 4 marzo [1895] il piroscafo inglese “Oroya” della compagnia Orient-Line, partiva dal porto di Napoli per l'Australia, quando, non si sa come, andò ad investire sulla spiaggia fra i Granili ed i ruderi del forte di Vigliena. Il tempo era cattivo per vento del 3° quadrante, accompagnato da pioggia e mare grosso. Oltre a diversi rimorchiatori e molte barche da pesca, prestarono efficacissimo aiuto, per lo sbarco dei passeggieri, in numero di 220, fra cui 80 signore, le imbarcazioni inviate prontamente sul luogo dal signor Comandante in capo del secondo dipartimento marittimo che assunse la direzione delle operazioni di salvataggio» (a).
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L’incidente fu commentato da «Don Ferrante» (Benedetto Croce), sulla rivista «Vita Napoletana»:
«Il Naufragio dell’Oroya. Pioggia, vento, neve, tempeste, abbiamo avuto un po' di tutto, sul fine di quest'inverno. Ed appunto durante l'ultima tempesta, l'Oroya, un grossissimo quattro-alberi inglese, che fa il servizio della valigia australiana, uscendo dal nostro porto, per una falsa manovra, andò ad investire nella vicina spiaggia di S. Giovanni a Teduccio. […] Si affrettarono anche sul luogo del disastro varie navi da guerra. Ma fu impossibile scagliar la nave inglese, che ora giace come un gigantesco cetaceo, sopra un banco di sabbia, aspettando che venga un altro grosso piroscafo della stessa Compagnia per procurare di scagliarla. I nostri bravi marinai da guerra ed i nostri coraggiosi battellieri fecero veri miracoli di abilità e di eroismo, trasportando a terra sani e salvi tutti i passaggieri dell' Oroya, malgrado gli spaventevoli marosi.
L'ammiraglio Corsi fu veramente commosso innanzi a tanto slancio di coraggio […] un caporale di marina, che guidando un'imbarcazione, seppe con raro sangue freddo salvar da certa morte i suoi compagni, è stato proposto per la medaglia al valore.
Si è avuto soltanto a deplorare la morte di tre marinai inglesi, la cui imbarcazione fu capovolta dai violenti marosi, e dei quali si tentò il salvataggio.
Questa disgrazia ha rattristato tutti, e pur non risparmiando le lodi ai valorosi che se le son meritate, molti deplorano che, per assoluta mancanza d'istrumenti di salvataggio, sia stato possibile l'annegamento di tre persone, a così piccola distanza dal nostro porto. […]»(b).
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Sempre nella già citata Relazione del Direttore Generale della Marina Mercantile si apprende che cinque marinai italiani furono premiati per il coraggio mostrato durante le operazioni di soccorso dei naufraghi. In particolare, fu evidenziato che tra di loro c’era un «popolano» locale che si contraddistinse per l’audacia:
«Una barca del piroscafo cercava di toccare la spiaggia, equipaggiata da otto robusti marinari; però l'impeto del mare era tale che la barca fu rovesciata, e delle otto persone cinque appena si salvarono mercè il coraggio del sottonocchiere del Corpo R. Equipaggi, Mazzarella Michele, e di certo Fragliasso Nicola, popolano di Napoli, detto il «Barone», i quali, sfidando ogni pericolo, fra le onde agitate, prestarono efficaci soccorsi ai naufraghi, coadiuvati validamente dai marinari della R. Marina, Giordano Beniamino, Calisi Vincenzo ed Anemone Santo. In premio della generosa azione compiuta, il Mazzarella ed il Fragliasso ebbero la medaglia d'argento al valore di marina, ed i marinari Giordano, Calisi ed Anemone ebbero la medaglia di bronzo» (a).
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Anche le Autorità inglesi riconobbero al pescatore Nicola Fragliasso, noto con lo pseudonimo di ‘O Barone, il Board of Trade Awards for Gallantry (c). Il pescatore fu decorato con la: «medaglia d'argento e una somma di [denaro] a Nicola Fragliasso, pescatore di Napoli, in riconoscimento dei suoi servizi in occasione del ribaltamento della scialuppa di salvataggio della S.S. "Oroya" di Liverpool, arenata quando era in partenza dal porto di Napoli il 4 marzo scorso» (d).
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Dalla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia si apprende dello «Scagliamento dell’Oroya. - Leggiamo nel Roma di Napoli di ieri: “Questa notte, dopo 50 giorni d'imprigionamento forzato nell'arena di San Giovanni a Teduccio, il bellissimo e imponete piroscafo dell'Orient Line, si è scagliato completamente.
“Alle ore 8 di stamane, in cui ci siamo recati a visitarla, abbiamo trovato che la nave galleggiava maestosamente a circa 300 metri dalla spiaggia.
“Le due draghe Svitze e Berthelda, che hanno compiuto uno dei lavori più difficili di disicagliamento che sia mai loro capitato, fiancheggiavano l'Oroya come due infermieri che accompagnano un malato, che si leva dal letto per la prima volta!...
“L’Oroya si é ancorata presso il molo S. Vincenzo» (e).
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Le testimonianze dei Viaggiatori dell’Oroya
La scrittrice Geri Walton nel 2016 pubblicò sul suo blog l’articolo «Lo spiaggiamento dell'Oroya, 1895». Walton riferisce la testimonianza del commerciante Hugh Lauder imbarcatosi insieme al suo socio John Brown sull’Oroya, presso il Porto di Tilbury Docks, sul Tamigi in prossimità di Londra, il 22 febbraio 1895. Il sig. Lauder durante il viaggio scrisse diversi articoli raccolti poi nel volume «Notes of a Trip Round the World, in 1896». Il sig. Lauder fornisce le caratteristiche del transatlantico diretto in Australia precisando che si trattava di un «vero palazzo galleggiante», era piuttosto lussuoso e ben arredato ed aveva un equipaggio di 150 componenti e 240 passeggeri (secondo altre fonti rispettivamente di 160 e 260 unità).
La nave arrivò nel Porto di Napoli il 2 marzo e i viaggiatori videro il Vesuvio che «eruttava fuoco ogni tanto». Il giorno successivo il signor Lauder insieme al suo socio si recarono in visita a Pompei. La mattina del 4 marzo la nave si accingeva a riprendere il viaggio e all’alba i passeggeri furono svegliati dal tonfo della nave, impegnata nella manovra di uscita dal porto, che si arenò sul fondale di Vigliena. La manovra, ritenuta incauta, fu peggiorata dal forte maltempo. La direzione della Orient Co. proprietaria della Oroya viste le condizioni del mare decise di iniziare le operazioni di sgombero della nave. La prima scialuppa calata in mare riuscì a raggiungere con difficoltà la riva e durante il percorso di ritorno corse più volte il rischio di essere sommersa. Fu utilizzata una gomena nel tentativo, infruttuoso, di stendere la fune tra la nave e la riva per facilitare lo sbarco dei passeggeri. Uno dei responsabili della Compagnia Armatrice presente a bordo, la mattina dell’incidente, non volle affittare un piroscafo per tentare di disincagliare la nave poiché il costo del noleggio ammontava a 10.000 sterline salvo poi, visto il precipitare della situazione, lamentarsi. Sulla riva c’erano militari e marinai che dovettero organizzare il servizio d’ordine poiché la spiaggia era «gremita di Migliaia di osservatori».
La tempesta sembrò che si quietasse e ripresero le operazioni di salvataggio. Furono così portati in salvo altri passeggeri con le scialuppe della Oroya, del personale della Marina nonché dei pescatori con le loro «barche indigene che galleggiavano come giocattoli in cima alle onde».
Un barcone dell’Oroya fu travolto da un’onda e quattro marinai annegarono, altri sei, di cui uno non sapeva nuotare, furono «soccorsi dai napoletani» assicurati mediante una fune alla riva. Le iniziative di recupero dei naufraghi consentirono di mettere in salvo i «2/3 dei passeggeri». La burrasca aumentò ancora la sua violenza costringendo i soccorritori a sospendere le operazioni di sgombero. La notte per i passeggeri e per i membri dell’equipaggio rimasti sulla nave non fu semplice. Un’altra nave inglese accorsa in nottata tentò di disincagliare l’Oroya senza riuscirci. Finalmente la mattina dopo il tempo migliorò e furono completate le operazioni di sgombero. I passeggeri dovettero trovare ospitalità presso gli alberghi napoletani. Il sig. Lauder lamentò la insufficienza delle risorse fornite dalla compagnia di navigazione che dette sette scellini e sei pence ai viaggiatori di prima classe, pari alla metà delle spese sostenute. A proposito degli albergatori napoletani Lauder sostenne che i napoletani «non perdono nessuna occasione per spennare il britannico».
Qualche giorno dopo il sig. Lauder e il suo socio ripresero il viaggio a bordo di un’altra nave e uscendo dal Porto notarono che la Oroya era ancora incagliata sul fondale. La giornalista Geri Walton, presumo sulla base del testo integrale di Lauder (che non ho trovato), aggiunge che sul posto c’erano ancora «gli astanti che aspettavano di saccheggiare». La considerazione appare in netto contrasto con i riconoscimenti tributati ai soccorritori locali che furono premiati sia dalle autorità italiane che da quelle inglesi.
La stessa giornalista conclude il suo articolo illustrando le risultanze dell’indagine svolta dalle autorità inglesi:
«Il Tribunale Navale si tenne il 26 e 27 marzo dello stesso anno […] Secondo il Board of Trade Wreck Report, i problemi iniziarono quando i venti cominciarono ad alzarsi nelle prime ore del 4 marzo 1895 mentre la Oroya era ancora all'interno della diga foranea del porto di Napoli. Una nave all'ancora normalmente punta verso la direzione da cui proviene il vento, ma l'Oroya era di traverso al vento a causa di una forte corrente nel porto. Questo rese la barca più scomoda del solito a causa del movimento oscillatorio da un lato all'altro, ma peggio ancora, Oroya è stata spinta pericolosamente verso l'acqua bassa. Il Capitano ha deciso di usare i motori per spostare l'imbarcazione a poppa, cioè ha fatto marcia indietro. Una volta fuori dai frangiflutti, i motori furono fermati e invertiti. Il Capitano cercò di girare a dritta (a destra quando si va in avanti), ma la nave era stata spinta ancora più fuori rotta, e non c'era più spazio per girare. Tentò ancora una volta di fare marcia indietro, ma tra la corrente e il vento che spingeva l'Oroya sulla terraferma, si incagliò di traverso al vento. L'Oroya continuò a muoversi verso la spiaggia fino a fissarsi saldamente nella sabbia».
L’inchiesta si concluse con la sospensione di tre mesi del Comandante Routh e con l’assoluzione del quarto ufficiale. La Corte definì il comportamento del Capitano «deplorevole». La Corte si espresse anche sui «Tre pescatori italiani che sono stati elogiati per la loro assistenza nel salvare cinque vite»(f).
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Il quotidiano «South Australian Chronicle» nella edizione del 20 aprile 1895 intervistò alcuni viaggiatori imbarcati sull’Oroya. Il giornale riferisce che:
«Gli ufficiali della nave sono molto reticenti e si rifiutano di fornire notizie in merito all'incidente, ma dalle dichiarazioni dei passeggeri emerge che hanno trascorso un periodo alquanto doloroso e difficile […].A causa del mare grosso, la nave ha urtato e rotolato, causando ai passeggeri il mal di mare nella sua forma peggiore, mentre i bambini, di cui c'era un gran numero a bordo, erano nelle condizioni più terrorizzate. Anche gli adulti, a causa dell'incertezza sulla loro sicurezza, erano notevolmente allarmati, soprattutto quando videro una delle barche che tornava alla nave per soccorrere i passeggeri ribaltarsi e quattro dei marinai annegare».
Nell’intervista il signor W. G. Hammond in viaggio con la sua famiglia ricostruì ogni istante della sciagura:
«Mi sono svegliato alle 4 e ho scoperto che non eravamo partiti, e subito dopo sono stato ulteriormente svegliato da rumori […]. Pochi istanti dopo ero convinto che tutto non stava andando bene, le grida e il calpestio sopra la testa erano insoliti, mentre la vita si fermò improvvisamente. Guardando fuori dall'oblò scoprii che eravamo fermi davanti a una spiaggia e di fronte al Vesuvio. Il piroscafo stava sbattendo sul fondale e le sirene di allarme iniziarono a suonare e furono lanciati razzi dopo razzi […]. Abbiamo chiesto informazioni al nostro steward che probabilmente non sapeva della gravità della situazione, perché l'Oroya era su un banco di sabbia e una violenta burrasca la spingeva di traverso più avanti. La suspense era terribile, e il rollio della barca provocava ai passeggeri il mal di mare in tutte le direzioni, mentre i bambini erano in un terribile stato di allarme. All'incirca all'ora della colazione ci fu detto di prepararci per scendere a terra, e ci fu detto che ognuno poteva prendere una borsa. Potevamo vedere una curiosa folla di italiani a terra, e il loro aspetto non era affatto invitante […] per molto tempo non è stato fatto alcun tentativo di inviare una barca dalla riva. Alla fine, però, fu varata una scialuppa di salvataggio, ma nella forte risacca che batteva sulla riva si capovolse immediatamente. Ogni tentativo successivo ha avuto un destino simile e sono sicuro che nessuna barca avrebbe potuto resistere nella risacca. Tutto questo potevamo vedere dalla nave, e potevamo anche vedere che un certo numero di soldati erano stati mandati sulla spiaggia per tenere in ordine la folla.
Diversi passeggeri incontrarono il Capitano, il quale disse loro che al momento non c'era un grande pericolo, e che sperava che la burrasca cessasse mentre il vento si stava alzando. Durante il pomeriggio si potevano vedere numerose imbarcazioni accorse per i soccorsi che non potevano avvicinarsi a più di mezzo miglio. Una ci provò, ma rinunciò, perché il mare l'avrebbe fatta a pezzi contro l’Oroya.
C'era anche una cannoniera italiana al largo, e successivamente ricevette alcuni dei passeggeri, e il suo equipaggio li trattò molto bene. Alle 5 del pomeriggio fu dato l'ordine che tutte le donne e i bambini dovevano prepararsi per scendere a terra; noi dovevamo andare in una scialuppa di salvataggio. Successivamente alcuni di noi sono stati portati via in questa barca, ma nessuno di noi aveva il salvagente, tranne quelli di una barca italiana, poiché tutti avevamo dimenticato le cinture nelle cabine.
Onde immense minacciavano di sommergerci, e in un'occasione fui certo che la nostra barca era condannata. In seguito, ci dissero che coloro che osservavano il nostro passaggio erano certi che saremmo stati sconvolti, ma alla fine fummo trasferiti sani e salvi, anche se la stessa barca su cui andammo fu sconvolta nel viaggio successivo, e quattro poveracci annegarono alla vista dei passeggeri e degli altri, nessuno dei quali fu in grado di tendere una mano. Il quarto ufficiale era a bordo della barca, ma non sapeva nuotare. Un marinaio, ci fu detto in seguito, gli lanciò un remo ed egli raggiunse la riva sano e salvo. Il marinaio, tuttavia, era molto malconcio, e quando lasciammo Napoli, quindici giorni dopo, non si era ancora ripreso dalle ferite ricevute nell'urto con le onde. Un uomo, il nostromo, pianse come un bambino dopo che fummo tutti sbarcati. Arrivammo a Napoli verso le 6.30 di quella sera, ma alcuni dei passeggeri rifiutarono di lasciare il piroscafo quella notte, e il giorno dopo furono sbarcati senza difficoltà, poiché la tempesta si era calmata. Un gruppo di noi riuscì a sbarcare a Napoli con i battelli. Ci rivolgemmo ad una guida che contattò l'agente della compagnia, il quale ci diede istruzioni per trovare alloggio in uno degli hotel. […]. Posso assicurarvi che non voglio un'altra esperienza come quella che abbiamo vissuto dalle 5 del mattino alle 6 della sera di quel giorno, e sono stato in qualche modo sorpreso che così poco sia apparso nei giornali inglesi riguardo all'incidente. Alcuni dei giornali italiani, d'altra parte, avevano immagini emozionanti di incidenti che sono sicuro non sono mai accaduti».
«Il signor W. H. Langler, di Melbourne, un altro passeggero dell’Oroya arrivato con l'Orient, dice: "Siamo andati sotto pressione circa alle 3 di lunedì mattina. Un'altra nave stava entrando nel porto di Napoli nello stesso momento, e abbiamo dovuto tenerci sottovento per farla passare. L'Oroya non rispondeva al suo timone - governava male nel migliore dei casi - e andava alla deriva verso la riva e urtava contro il fondo sabbioso. C'era una forte bufera e l'onda di terra che arrivava sollevò la nave verso la riva. La nave toccò terra così facilmente che non mi svegliai finché non sentii le sirene che chiedevano aiuto, ma non arrivò nessuno. Quando mi alzai la mattina la nave giaceva a riva con il mare che le batteva sulla fiancata. Quando la tempesta aumentò, il capitano si allarmò e ordinò di far sbarcare i passeggeri. Quest'ordine fu revocato e poi applicato. Diversi passeggeri furono imbarcati sui piroscafi che si trovavano a fianco. Il mare era troppo agitato per raggiungere la riva e il molo era a un miglio di distanza. Non c'era nulla di simile al panico. Una delle barche di ritorno dal trasbordo dei passeggeri fu travolta dalle onde e si capovolse. Dieci marinai furono sbalzati fuori e quattro annegarono. Le onde in quel momento colpivano i lati della nave incagliata come un ariete. Quando la barca si ribaltò, alcuni italiani sulla riva nuotarono in soccorso degli occupanti e tirarono fuori dall'acqua quattro degli uomini. Altri due marinai rimasti nella barca furono trascinati a riva e salvati miracolosamente poiché la barca si è ribaltata due volte ed è stata raddrizzata di nuovo dalle onde. Dopo l'incidente furono sospesi gli sbarchi. Il giorno dopo (martedì) il mare era più calmo e siamo sbarcati sul molo con le barche italiane. Siamo Rimasti a Napoli per quindici giorni fino a quando la nave Oriente non ci è venuta a prendere per proseguire il viaggio. La compagnia ha pagato tutte le spese dei passeggeri di terza classe durante quel periodo e concesse alla seconda classe 5s al giorno e alla prima 6s […]Quando siamo partiti abbiamo visto che l'Oroya era stata sbalzata dalle onde a circa 100 metri dalla riva. Probabilmente quando si è verificato l’incidente la nave si trovava a circa 300 metri di distanza dalla riva”» (g).
Ci sono altre testimonianze ancora…..
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Il lemma Oroya: Città del Perù centrale; febbre che infieriva in Perù; pianta originaria del Perù; transatlantico inglese.
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Note ed elenco delle opere citate:
(a) Sulle condizioni della Marina Mercantile Italiana, Relazione del Direttore Generale, 1896.
(b) Il Naufragio dell’Oroya, Vita napoletana, Don Ferrante (Benedetto Croce),tratto dalla rivista La vita italiana, feb -apr. 1895.
(c)Ufficio del Commercio inglese, premio della galanteria civile per il coraggio mostrato di fronte al pericolo.
(d) Board of Trade Journal, Volume 19, July 1895
(e) Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, n.97, 24 aprile 1895.
(f) geriwalton.com/the-stranding-of-the-oroya-1895.
(g) South Australian Chronicle, edizione del 20 aprile 1895.